Comune di Villa Cortese

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BAGNO AL CANALE

Area: Periodici Comunali
Pubblicato il: 24/05/2004

di Peppino Barlocco
Da parecchio, ma era più di moda e neanche un pò trendy andare "al canale a fare il bagno", ma l'anno passato forse complice il gran caldo, si è vista tanta gente in quei posti che generazioni di giovani hanno conosciuto e battezzato con momi quaid mitici. Si andava ai "quattro salti", alla "boca rosa", al "bacino", al "bacinetto", al "rungiun" e per i più arditila meta finale era il Canale con il tuffo dal ponte del metano. Tempi passati, in cui schiere di ragazzi andavano in bici da Villa Cortese a Busto Garolfo con la salvietta sul manubrio per "fare il bagno".Ed a volte questa espressione era proprio in senso letterale. Chissà quanti di noi hanno visto persone insaponarsi e poi, bianchi e coperti di schiuma, tuffarsi in acqua! Il canale con il suo paesaggio è mutato, ma la presenza di rogge per la maggior parte a cielo aperto, segnalate e talvolta ancora bordate da alberi o anche di “muruni” (i famosi gelsi) che con le loro radici sostengono le prode dei fossi, caratterizza quel che rimane dell'ordinato paesaggio dell'alto milanese, che solo ora in parte si tende a riscoprire e valorizzare. Un paesaggio non troppo distante da noi. Già a Busto Garolfo e su su fino al Naviglio Grande una vasta rete di irrigazione percorre la terra, quasi a rinvigorirla. Paesaggi raccontati nel film “L’albero degli zoccoli” di Olmi, che li ha utilizzati per le inquadrature sui Navigli, e che ora ci scappano via con le loro storie, ma che se guardati con occhi diversi possono raccontarci un poco di noi e del nostro territorio. Ai più, queste arterie in cui l’acqua scivola lentamente, sembrano lì da sempre, ma raccontano invece storie di duro lavoro: l’immagine più ricorrente quando pedali sugli argini dei navigli è quella di schiere di uomini che con pale e picconi hanno scavato quei letti per farci scorrere l’acqua, anche quella del “Canale”, il Villoresi per l’appunto. In effetti molto è cambiato da quando, poco più di un secolo fa, a forza di braccia ogni vigna del territorio venne raggiunta dalla preziosa acqua proveniente dalle Alpi, convogliata fino a qui da chilometri di canali artificiali. Ma come è nato e perché percorre la nostra zona? E’ infatti la nostra, quella dell'alta pianura, un’area da sempre soggetta a periodiche siccità, nonostante la presenza di corsi d'acqua e di un'alta piovosità, per via della permeabilità dei suoi terreni ciottolosi e ghiaiosi nei quali l'acqua, sparendo nel sottosuolo, lascia la superficie arida e adatta solo a coltivazione di scarso livello. Infatti, la vera ricchezza delle vigne di Villa Cortese e del circondario era la coltivazione dei gelsi sapientemente accostata a quella dei cereali e dell’uva. Famosi erano i vini della nostra zona, di cui la locale fondazione Ferrazzi va oggi riscoprendo le tradizioni con un’ottima produzione. La possibilità di mutare questa secolare situazione cominciò ad essere intuita verso la metà del XIX secolo, quando alcuni ingegneri lombardi stesero dei progetti nei quali si proponeva di derivare l'acqua necessaria ad attuare una rivoluzione agricola, nientemeno che dai laghi prealpini. Ma il merito della realizzazione di un canale che prelevando l'acqua dal Ticino la portasse a tutta la provincia a nord di Milano, per arrivare all'Adda, è dell'ingegner Villoresi, il cui eccezionale spirito pratico, abbinato alla conoscenza delle più moderne tecniche idrauliche e meccaniche dell'epoca ed alla convinzione che la sua idea fosse veramente realizzabile, riuscì a superare tutte le difficoltà tecniche e diplomatiche ed a far approvare nel 1879 il progetto del canale che da lui ha preso il nome. Eugenio, secondogenito di sette figli, nacque a Monza il 13 febbraio del 1810 da Luigi e Teresa Baffa. Suo padre, direttore dei giardini reali di Monza, curava la manutenzione di eleganti giardini alla francese e del grande parco all'interno del quale vi erano ville nobiliari, cascine e terreni agricoli. I problemi dell'aridità dei terreni dell'altomilanese gli erano già certamente noti. Conseguita la maturità classica, si iscrisse al collegio Ghisleri di Pavia, laureandosi in matematica nel 1832; quattro anni dopo vinse un concorso per titoli e fu assunto come Agente presso gli Elemosinieri di Milano, assunzione che gli permise d'occuparsi subito d'irrigazione. Il suo primo intervento riguardò, infatti, i problemi d'irrigazione di un'azienda agricola di Abbiategrasso. Eugenio Villoresi, conosciuto nell'ambiente scientifico italiano per essere stato uno dei fondatori della Società Agraria di Lombardia, dal 1863 aveva iniziato a diffondere l'idea della necessità di un incremento produttivo dell'agricoltura grazie alla scienza ed alla meccanizzazione. Era convinto che si potesse migliorare il sistema irriguo del milanese, derivando l'acqua necessaria dal lago Maggiore. Già nel medioevo si era pensato di prendere l'acqua dal Ticino per tale scopo, e ciò sarebbe dimostrato dal tracciato rimasto del Panperduto, un canale mai completato, che da Golasecca, attraverso Somma Lombardo, Vizzola, Tornavento, Castano, giungeva ad Arconate. Villoresi cominciò così a stendere il suo progetto insieme al nipote, l'ingegnere Luigi Meraviglia, e il 15 gennaio del 1868 inoltrò la domanda al Governo per ottenere la concessione per costruire due grandi canali di derivazione d'acqua, dal lago di Lugano e dal Maggiore, tramite gli emissari Tresa e Ticino, il cui scopo era quello di migliorare l'irrigazione, favorire la navigazione dei barconi di sabbia e distribuire forza motrice agli opifici. La concessione emanata in appena quindici giorni dal re Vittorio Emanuele II, avrebbe dovuto durare novant'anni, a partire dalla creazione di un Consorzio per l'utilizzazione delle acque e per l'esercizio dei canali. Superato questo primo ostacolo sorsero però dei problemi di natura tecnica e burocratica che indussero il Villoresi a ridimensionare il progetto originario. La pressione di alcuni proprietari terrieri, che temevano l’opera in quanto avrebbe potuto distruggere le viti e i gelsi, costrinse il Villoresi ad abbandonare l'idea della derivazione dell'acqua dal lago di Lugano. Il progetto che, rivisto ed adeguato alle richieste, prevedeva il solo collegamento dal Ticino, fu finalmente ritenuto "di pubblica utilità" e venne approvato dal Ministero dei Lavori Pubblici nel 1877. Le difficoltà tecniche per la sua realizzazione erano enormi, così come erano enormi le spese finanziarie. In effetti Eugenio Villoresi, per attuare il suo straordinario progetto diede fondo a tutte le sue risorse personali, lasciando in eredità ai figli ben poca cosa. E nemmeno lui riuscì a vedere concretamente realizzata la sua opera, perché la morte lo colse il 12 novembre del 1879; la sola consolazione fu la conferma dell'approvazione definitiva del canale che il figlio Luigi gli portò da Roma. Gli eredi, per poter finalmente vedere realizzata l'idea per la quale il loro caparbio padre aveva speso l'esistenza, furono costretti a cedere i diritti di concessione alla Società Italiana Condotte d'Acqua, una società costituitasi a Roma nell'aprile del 1880, il cui scopo era quello di fornire acqua per usi civici, agricoli e industriali. Tale società si impegnò a proprio rischio nella costruzione del canale alla cui inaugurazione, avvenuta a Somma Lombardo nell'aprile del 1884, i trecento notabili invitati per l'occasione persero l'abituale compostezza gridando all'unisono: "Acqua, acqua!" Ma per portare a compimento l'opera ci vollero ancora alcuni anni: nel 1886 fu aperto il primo tronco del canale, che entrò completamente in funzione solo dopo il congiungimento con l'Adda, nel 1890. Un’opera che l'allora ministro delle finanze, Quintino Sella, definì "grandiosa ed utilissima". Non mancarono le voci di dissenso, tra cui quella di alcuni proprietari terrieri, che ritenevano che "l'irrigazione avrebbe comportato la distruzione dei prodotti certi (gelsi e in parte viti) per affrontarne di incerti, mentre la proprietà fondiaria avrebbe dovuto affrontare cospicui investimenti per attuare le sistemazioni necessarie per passare da colture asciutte a colture irrigue. Il tracciato del Canale, si dice, avrebbe potuto passare anche da Villa Cortese ma forse da noi il timore della distruzione delle viti e dei gelsi indusse i locali proprietari terrieri ad “essere cauti”. Cosa che si ripeté anche quando Franco Tosi volle costruire la sua azienda, sorta poi a Legnano. Si aveva paura di sacrificare i terreni e perdere la manodopera a favore della nascente industria. Nel 1920 la Società Italiana Condotte d'Acqua cedette la gestione del canale al Consorzio degli Utenti che, con Decreto Ministeriale del 20 giugno 1938, venne riconosciuto di Miglioramento Fondiario e mutò il nome in “Consorzio Villoresi di Bonifica”. Un sogno divenuto realtà: per apprezzarne il valore ed il benefico impatto ambientale che ne deriva, basta pensare che “ul canal” si snoda per 86 km., attraverso 85.000 ettari di terra nei quali l'acqua viene distribuita tramite 120 bocche di derivazione, da cui si diramano rami secondari che si sviluppano per 130 km. Da questi si diramano un intrico di rami terziari per una lunghezza di 1400 km. Un’opera grandiosa, una enorme rete idraulica che interagisce coi navigli Grande, Pavese, di Bereguardo, Martesana, coi fiumi Ticino, Olona, Lambro, Po, e con una serie di torrenti, creando un'incredibile mondo d'acque. Lungo il suo tragitto vi sono 24 stazioni pluviometriche, 9 termotecniche, 28 piezometriche con 12 piezometri utili a misurare la velocità e la pressione dell'acqua. Al di là dei dati tecnici, ora che lo scopo primario del canale è un po’ mutato essendo diventata intensiva anche l’agricoltura, è importante capire lo scorrere di queste acque nel territorio che ci circonda e magari farne un punto di forza, di bellezza e di attrazione per il miglioramento e la qualità dell’ambiente. Chissà, potremmo tornare a vedere gruppi di giovani che tornano dal bagno con le mutande sul manubrio della bicicletta, ad asciugare.