Comune di Villa Cortese

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IL SANTO DEI FALO’

Area: Periodici Comunali
Pubblicato il: 24/05/2004

Anche se il giorno è già passato (pasaà ul dì, pasaà ul santu) la tradizione vuole che il 17 di gennaio nella ricorrenza di Antonio abate, si accendano dei grossi falò. E’ un’antica usanza contadina che man mano va però “spegnendosi”. Nella nostra zona, il mondo agricolo sta quasi scomparendo e con esso i suoi miti e le sue tradizioni. Le moderne leggi sulla sicurezza impongono poi severe regole e limitazioni anche a coloro che vorrebbero mantenere le tradizioni popolari. Ma ancora oggi questa usanza è diffusa in molti paesi d'Italia, e anche se in tono minore pure a Villa Cortese. Un tempo era invece una delle ricorrenze più sentite dal mondo agricolo, ed i contadini il 17 gennaio, uno dei periodi allora più freddi dell'anno, accendevano nei campi grossi falò e la notte invernale veniva così illuminata e riscaldata. Era la notte di san’Antonio abate, che veniva chiamato "Sant'Antoni del purscell" per distinguerlo dall'omonimo santo padovano (che a dire il vero è di Lisbona). Nell'iconografia tradizionale veniva rappresentato vestito col saio, il cappuccio e lo scapolare dell'ordine, con in mano un bastone alla cui estremità era appeso un campanellino, che gli serviva per scacciare il demonio e per segnalare l'arrivo di malati contagiosi. Antonio è difatti considerato protettore delle epidemie sia dell'uomo che degli animali. Con lui stava l'inseparabile porcellino, e ai suoi piedi delle lingue di fuoco. Il santo veniva invocato per scongiurare gli incendi e per proteggersi dal flagello che funestò spesso l'Europa tra il X e il XVI secolo, l'herpes zoster, morbo noto ai più col nome di "fuoco di sant'Antonio", da cui ci si poteva curare grazie al lardo del maiale, considerato un ottimo rimedio. Questa figura si inserisce così nella vita pratica dei contadini che usavano accendere fuochi per pulire i campi dalle ramaglie della potatura e per dare concime alla terra. Era in questo periodo freddo che nel mondo agricolo veniva ucciso anche il maiale. Un rito quasi sacro che serviva a scongiurare la fame, poiché le cantine venivano rifornite con la macellazione. Osservando la natura e l’andamento delle stagioni i nostri nonni coniavano anche i proverbi e così il nostro Santo aveva il suo, che così recitava: “A sant'Antoni, frègiu da demoni, a san Sebastian frègiu da can, a san Bias, ul frègiu l'è ras”. Ma perché nel calendario è stato collocato proprio in questo giorno dell'anno? Forse perché è morto il 17 gennaio del 357 d.C. o forse perché durante la cristianizzazione molti santi assunsero attributi e ruoli di divinità preesistenti. Antonio abate potrebbe aver preso il posto di una divinità celtica di nome Lug, dio della morte e della resurrezione. Del resto la sua ricorrenza cade in un periodo dell'anno considerato sì pieno inverno, ma in cui la stagione comincia il risveglio e la resurrezione della natura ("sotto la neve il pane"). La figura mitologica di Lug era sempre raffigurata in compagnia di un cinghiale, la cui carne veniva deposta nelle tombe per dar forza ai morti nel loro viaggio verso l'aldilà. Quel cinghiale fu sostituito dal maialino, animale molto importante nell'economia alimentare della cultura contadina, vero tesoro, dal momento che del porco, detto dalle nostre parti "purscel", non si butta via niente, nemmeno le setole. Anche per questo, Antonio è considerato il protettore dei macellai e dei salumieri. Il santo, anche se strettamente collegato alle nostre tradizioni contadine, viene da molto lontano, precisamente dall'Egitto. Nacque infatti a Coma, una località sulla riva sinistra del Nilo, nel 251 d.C., da una famiglia benestante. Il denaro ed il lusso evidentemente non fecero presa su di lui, tanto che dopo la morte dei genitori, lasciò la casa paterna per dedicarsi ad un'esistenza ascetica, dopo aver donato tutte le sue sostanze ai poveri. Antonio abate, rappresentato in genere come un vecchio dalla lunga barba, è in fondo la metafora dell'inverno che si cerca di lasciare alle spalle bruciando le cose vecchie; è un mito o un santo che richiama la cultura del fuoco e della luce, considerati elementi beneaugurali già nei riti pagani poiché sconfiggevano il male e le malattie. Rappresentava insomma, un buon auspicio per il futuro. Antonio è patrono anche dei porcai, dei macellai, dei salumieri, dei pittori (per via delle setole dei pennelli prese dai maiali), dei cavalieri, dei fornai (che un tempo tenevano la sua effigie nelle loro botteghe e il 17 gennaio andavano in processione lasciando ai piedi del santo le loro offerte), e dei malati di herpes zoster. Ma possiamo dimenticare le zitelle? Una volta, al contrario di oggi, essere single era una tragedia e le donne non ancora sposate si rivolgevano a lui, proprio la mattina del 17, con la giaculatoria "O Sant'Antoni, fasem fa un bun matrimoni", oppure "Sant'Antoni glurìus, famm la grasia de fa'l murùs, famm la grazia de fal bèll, Sant'Antoni del campanèll". Ma insieme a quelle richieste si aggiungevano quelle di chi desiderava qualcosa e che lo invocava dicendogli: "Sant'Antoni da la barba bianca, fam truà chel ca ma manca". Un Santo polivalente rappresentato come un vecchio dalla lunga barba la cui immagine è legata ai “falò“, e ci piace credere, come facevano i vecchi che dalla posizione della fiamma si possano trarre presagi sull'andamento dell'annata: "bundanziusa", se le vampe si inclinano a ponente e viceversa. Per sapere come andrà il 2004, non ci resta dunque che accendere un cero (per il falò ci vuole il permesso dei Vigili del Fuoco) e guardare la direzione della “fiamma”. Non importa se il 17 gennaio è già passato